LUNARIO ORIENTALE

giovedì 21 marzo 2019
Palazzo Chigi Saracini, ore 21

ROSS DALY | lyra, tarhu
KELLY THOMA | lyra
PEPPE FRANA | oud, robab
FRANCESCO SAVORETTI | percussioni

Che fai tu, luna, in ciel?
dimmi, che fai, silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
[…]
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
che sì pensosa sei, tu forse intendi,
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
[…]
E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera
[…]

Nel 1830 Giacomo Leopardi immaginava così il canto notturno di un pastore kirghiso. Aveva letto la cronaca del recente viaggio a Bukhara di un barone russo, dove si diceva che i kirghisi passassero spesso le notti seduti su una pietra a guardare la luna, improvvisando dei versi assai tristi, su delle arie che non erano da meno. La figura esotica del pastore asiatico, che parla con la voce di Leopardi nei celebri versi del “Canto”, aveva affascinato così tanto il poeta recanatese forse anche per la nostalgia di qualcosa che ormai era scomparso dalla cultura dell’Europa occidentale.
A cavallo fra Sei e Settecento, quando cominciò ad affermarsi una descrizione scientifica del mondo attraverso agli strumenti della matematica e della fisica moderna, la musica iniziò davvero a voler imitare la Natura, senza più pensare di farne parte. Nonostante fosse in auge l’idea di una musica capace di influire sugli stati d’animo per mezzo degli “affetti”, la diffusione del temperamento equabile – anch’esso un “prodotto” scientifico moderno – e l’impiego sempre più estensivo dell’armonia tonale da parte dei compositori, avevano cominciato a far dimenticare l’enorme patrimonio dei modi musicali, con tutto il carico di sensibilità ad essi legato.
A parte la memoria ormai cristallizzata dei modi gregoriani, custodita nella musica liturgica cattolica, il linguaggio della musica modale riusciva a sopravvivere solo nell’oralità della musica popolare, andando così a perdere gradualmente la sua ricchezza espressiva.
Nell’Oriente mediterraneo invece, laddove la cultura ottomana raggiungeva il massimo splendore, oltre a intonare la parola di Dio, anche senza far uso di alcuna espressione verbale la musica modale era in grado di articolare la preghiera e scandire l’avvicinamento mistico alla Grazia divina. Allo stesso tempo, senza proferir parola la musica poteva raccontare storie, rivelare indicibili segreti, descrivere paesaggi interiori ed esteriori, appassionare i danzatori e riscaldare le emozioni degli avventori dei caffè. Senza barriere che dividessero rigidamente l’universo del sentire fra spiritualità religiosa e sensualità popolare, i makam riuscivano a toccare il cuore di chiunque fosse disposto ad ascoltare, ieri come oggi
Quelle note intonate una dopo l’altra, disposte in fila come i sassolini bianchi che colpiti dalla luce della Luna indicano il percorso da seguire nella notte, producono ancora un fascino irresistibile per gli ascoltatori di Oriente e Occidente.

Maqam, Makam, Mugham, Dastgah, sono i nomi per indicare “quasi la stessa cosa”: ovvero, il complesso fenomeno musicale che si traduce attraversando i confini invisibili che segnano le terre lungo cui si è spinta verso est la cultura dei popoli islamizzati, fino ad incontrare il monumentale sapere musicale dell’India e mescolarsi con esso.
Ciò che accomuna i due sistemi musicali è la concezione del Tempo con cui la musica dialoga: un tempo cosmico da rispettare e assecondare, con cui ci si deve “accordare”. Un tempo che non è semplice accumularsi di istanti della stessa misura, neutri e uguali l’uno all’altro, ma è un susseguirsi di eventi a cui partecipa ogni elemento del mondo, compresi il musicista e l’ascoltatore.
Il lunario è uno dei modi più antichi e comuni per rappresentare e misurare questo ordine del tempo, perché la sequenza delle fasi lunari rimanda al moto dei fluidi, ai cicli della fertilità, all’eterna sfida fra luce e ombra nell’oscurità della notte. Ogni almanacco, da quelli antichi ai più moderni, descrive in che modo la vita celeste della Luna, il suo muoversi fra gli altri astri, può influire su ciò che accade in terra: si danno consigli sulle cure di bellezza e per la salute, sui cibi più convenienti da preparare e quelli da conservare, sui semi e i tuberi da piantare e le piante da potare. Ma i lunari descrivono anche l’ascendente degli astri sulla fortuna e sui sentimenti umani, spesso sotto il principale dominio della Luna.

Se la Luna influisce sulle passioni degli uomini, la musica allora le racconta con le frasi delle melodie che riecheggiano dal Mediterraneo Centrale alle montagne dell’Afghanistan, passando per l’Anatolia, il Caucaso e l’Altopiano Iranico, muovendosi su un itinerario già percorso da Alessandro due millenni orsono.
Ross Daly le ha raccolte durante i suoi viaggi, insieme ai tanti strumenti che ha portato a Creta, dove si è stabilito più di quarant’anni fa. Lì, vicino a Heraklion, ha fondato Labyrinth Musical Workshop, un laboratorio permanente dove maestri e discepoli da tutto il mondo studiano il patrimonio delle musiche tradizionali per assorbirne il linguaggio e comporre nuova “musica modale contemporanea”. Con la sua lunga e varia attività artistica realizzata in tutto il globo, il musicista irlandese radicatosi in Grecia ha dimostrato nella pratica ciò che in astratto i filosofi europei sostengono da quasi un secolo, e i sapienti orientali conoscono da sempre: le tradizioni vivono solo in un continuo presente, di cui passato e futuro sono semplici proiezioni. Come ogni tradizione, la musica non può non essere contemporanea, qualsiasi siano le sue origini e forme espressive.
Polistrumentista, Daly si è specializzato nel suonare la lira bizantina, e ibridandola con il sarangi indiano ha creato uno strumento nuovo, il tarhu, che può essere considerato come il simbolo della sua concezione musicale.

L’insegnamento di Daly ha prodotto nuove generazioni di virtuosi, fra cui la greca Kelly Thoma, che fin dal 1998 affianca il maestro in moltissimi progetti e formazioni, esibendosi in tutto il mondo. Con il Tokso Folk String Quartet, Thoma mette in luce la forza espressiva degli strumenti ad arco anche al di fuori della canonica formazione classica, unendo il suono della sua lira al violoncello, all’hardanger fiddle e alla nickelharpa, per composizioni originali che intrecciano gli idiomi di diverse tradizioni popolari.
Per questo appuntamento di Tradire con Daly e Thoma suoneranno altri due musicisti che hanno frequentato Labyrinth e raggiunto un livello raffinatissimo di conoscenza e pratica delle tradizioni mediorientali, ma non solo. Peppe Frana, innamoratosi a vent’anni delle musiche del Mediterraneo orientale, ha cominciato proprio con Ross Daly a esplorare il repertorio greco e turco, divenendo in breve tempo un eccezionale suonatore di oud, cui ha affiancato molti altri cordofoni asiatici. Nel tempo, accanto ai makam, Frana ha approfondito anche la musica medioevale: oggi è reputato uno dei più apprezzati specialisti e maestri del repertorio italiano del Trecento. Ma la musica ottomana e quella antica lasciano ancora spazio alla vivace collaborazione con Vinicio Capossela.
I diversi suoni delle corde sfregate e pizzicate verranno imbrigliati nel tempo dai ritmi di Francesco Savoretti, specialista dei tamburi a cornice, “cuoco della musica” per la sua capacità di mescolare i sapori ottenuti attraverso una meticolosa ricerca timbrica. Anche lui ha già una solida carriera internazionale, cimentandosi in diversi generi, dalla world music alla contemporanea, dal jazz alla musica antica, senza escludere le collaborazioni con i cantautori che intendono legare il proprio mondo espressivo alle radici, da qualunque luogo provengano.

Come in un Lunario Orientale, le musiche suonate dal quartetto mostreranno un ventaglio di passioni e le trasformazioni interiori da esse causate, modulando melodie dai diversi colori, muovendone l’intonazione su ritmi di danze tradizionali, riuscendo a rendere con i suoni la piacevole varietà e il fascino di un paesaggio naturale, di cui la musica fa ancora parte.

(SJ)

ASCOLTO LIBERO

Ross Daly Labyrinth, Syrtos in Makam Nikriz (Nedim Aga), da Eurasia: Mitos, World Network 1992
Ross Daly e Mediterranean Orchestra, Earpigon (R. Daly), Tel Aviv Museum of Arts, 25-12-2012
Ross Daly con Kostas e Manos Mountakis, Mesopelaga armenizo, da Kostas Mountakis rare live, vol.4, Aerakis 2004
Ross Daly, Abacus (Bayati Shiraz), da Mikrokosmos, L’Empreinte Digitale, 2004
Ross Daly con Djamchid Chemirami, Irshad Khan, Zarif, da Cross Current, Pan Records 2001
Ross Daly, Sandansko Horo & Majsko Horo da Kin Kin, Music Box 2002
Ross Daly, Anogeianes Kontylies, (trad. Creta) da Music of Crete, 2004
Ross Daly con Djamchid Chemirami, Al Tair (R. Daly) da An-Ki, Oriente Musik 1995

Kelly Thoma, Giouhtas, da Anamkhara, 2009
Kelly Thoma con Tokso Folk String Quartet e Bijan Chemirami, Valkyrier, Oslo, 23-03-2017
Peppe Frana con Micrologus, Non vedi tu amore (Ballata, L. Masi), Torino, 31-03-2014
Peppe Frana con Enea Sorini, Che ti GIOVA NAscondere
Francesco Savoretti e Peppe Frana, Upwelling, Live 2016

Ross Daly Quintet, Earpigon, Labyrinth in Houdetsi, Estate 2018

INGRESSO GRATUITO